Con una storica sentenza della Corte di Cassazione, la giustizia italiana ribadisce un principio fondamentale: chi mantiene la propria moglie in una condizione di dipendenza economica e sessuale commette reato. Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 21568 depositata il 9 giugno 2025, confermando in via definitiva la condanna a carico di un marito responsabile di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale.
La Suprema Corte ha chiarito che le condotte tese a limitare l’autonomia economica della partner, unite a comportamenti sessualmente prevaricatori, integrano gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia. Secondo gli ermellini, infatti,
“l’elemento oggettivo del reato si configura attraverso una serie di atti, anche non necessariamente delittuosi, ma di natura vessatoria, capaci di causare sofferenze fisiche o morali alla vittima”.
I giudici sottolineano che non è indispensabile una durata prolungata nel tempo per configurare il reato: è sufficiente la ripetizione di comportamenti lesivi, anche in un periodo limitato. L’abitualità, infatti, non richiede la totale assenza di momenti di tranquillità o accordo tra le parti, né l’annullamento della capacità di autodeterminazione della vittima.
Nella ricostruzione dei fatti, emerge un quadro inquietante: il marito non solo agiva in modo violento e minaccioso, ma esercitava anche un controllo sistematico sul piano sessuale ed economico, contribuendo a rendere la vita della moglie dolorosa e priva di libertà.
Il comportamento dell’uomo è stato riconosciuto come vessatorio e sistematico, tanto da compromettere gravemente la dignità e la salute psicofisica della donna. L’imposizione sessuale e il controllo delle risorse economiche rappresentano, secondo i giudici, manifestazioni concrete di una violenza domestica che non si limita agli episodi fisici, ma si estende alla violenza psicologica e alla limitazione dell’indipendenza personale.
Secondo l’articolo 572 del Codice Penale, il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi si configura quando una persona abitualmente maltratta un familiare, un convivente o un soggetto sottoposto alla sua autorità o affidamento. La condotta deve causare uno stato di sofferenza prolungata, anche se alternato da momenti di apparente normalità.
Nel caso in esame, la Corte ha specificato che la reiterazione di comportamenti lesivi, anche in assenza di danni fisici visibili, può bastare per giustificare una condanna. È dunque irrilevante che nel corso del tempo si siano alternati episodi di calma apparente: ciò non esclude la sussistenza del reato.
Con questa sentenza, la Cassazione rafforza l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la violenza domestica può assumere molteplici forme, non necessariamente evidenti o fisiche. Il controllo economico, la coercizione sessuale, l’umiliazione e la minaccia reiterata costituiscono condotte penalmente rilevanti che, se ripetute nel tempo, integrano l’abitualità richiesta dalla norma.
La pronuncia si inserisce in un contesto giurisprudenziale e sociale sempre più attento alla tutela delle vittime di violenza domestica. La Corte di Cassazione ribadisce che è compito del giudice valutare l’intero quadro comportamentale, tenendo conto non solo degli atti materiali ma anche degli effetti psicologici e relazionali prodotti sulle vittime.
Insomma, la sentenza n. 21568/2025 rappresenta un’importante conferma della volontà della giustizia italiana di riconoscere e contrastare le forme di violenza domestica meno visibili ma non meno gravi, come la privazione dell’autonomia economica e il controllo sessuale. Un messaggio chiaro contro ogni forma di sopraffazione nella vita di coppia.
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