Tecnologia

Fotovoltaico spaziale: nel 2030 i primi satelliti da 1 gigawatt

Si torna a parlare di energia elettrica generata da impianti fotovoltaici satellitari lanciati nello spazio. Un sogno che risale alla fine degli Anni 60, quando il fisico Gerard O’Neill teorizzò la costruzione di città orbitali che avrebbero dovuto essere una fonte di energia per la Terra attraverso la messa in opera di specchi solari in grado di reinviare i raggi verso una centrale recettrice sulla superficie del nostro pianeta.

Nel 2020 attesi i primi test. «Un modo sostenibile ed efficiente di generare energia pulita da inviare sulla Terra che dovrebbe entrare a regime nel 2030» sostengono gli analisti di Avvenia (www.avvenia.com), uno dei maggiori player italiani nell’ambito dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale.

Si tratta di satelliti da inviare oltre la nostra atmosfera dotati di celle fotovoltaiche in grado di generare energia elettrica pulita da trasmettere poi sulla Terra tramite conversione in microonde e laser. È quanto diversi centri di ricerca negli Stati Uniti, in Europa, Giappone e Cina stanno cercando di realizzare da sei decenni.

Spostare la generazione di energia dal nostro Pianeta allo spazio e cercare di sfruttare la continua esposizione al sole 24 ore su 24 dei satelliti geosincronizzati secondo gli esperti di Avvenia è un’ottima soluzione in termini di sostenibilità ambientale e di decarbonizzazione della nostra economia.

A riportare l’attenzione su questa soluzione tecnologica per l’efficienza energetica d’alta quota è proprio Avvenia.

«Un programma che oggi diventa fattibile grazie al potenziamento dell’efficientamento energetico delle cellule fotovoltaiche spaziali, il cui rendimento è aumentato notevolmente negli ultimi anni, passando dal 5% degli Anni 50 al 32% di oggi, mentre un insieme di specchi correlati ulteriormente efficientati può far crescere questo rendimento al 54%» sostiene Giovanni Campaniello, fondatore ed amministratore unico di Avvenia.

Come ricordano gli esperti Avvenia, rimane da affrontare il problema dei pesi, relativi soprattutto ai giganteschi specchi fotovoltaici. A suo tempo si parlava di 81 mila tonnellate di apparati tecnologici da mettere in orbita, per un costo proibitivo di 4 mila miliardi di dollari.

Della riduzione di peso dei satelliti, e quindi del costo finale, se ne sta già occupando l’Università della California, insieme alla Northrop Grumman, società legata al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che si è lanciata in un programma triennale con un budget di 17,5 milioni di dollari.

Mohana Deva

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